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 Andrea Giuseppe BORDINI - Segretario Nazionale

Per comprendere fino in fondo la gravità delle attuali politiche governative basterebbe ricordare l’enorme perdita del potere d’acquisto che il salario del pubblico dipendente ha subìto negli ultimi anni, come è anche emerso dalle recenti statistiche dell'ISTAT, che hanno rilevato come l’ammontare della busta paga dei dipendenti pubblici, da quando è partito il blocco contrattuale, oltre che non essere adeguato all'aumento dei prezzi, sia addirittura diminuito. Un calo vertiginoso, al punto tale che attualmente possiamo considerarci, di fatto, una classe di nuovi poveri. Ma come se questo non fosse ancora sufficiente, il Governo avrebbe manifestato la volontà di applicare l'ennesima "spending review", in modo consapevole e mirato, colpendo indirettamente le tasche dei cittadini e diminuendo ancora di più la retribuzione dei lavoratori. Tutto ciò, attraverso il tentativo di riduzione delle voci dei fondi accessori dei vari Ministeri, somme che dovrebbero finanziare - con una piccola percentuale - il premio di produttività dei dipendenti e, in massima parte, servire per il potenziamento dei servizi dello Stato da erogare alla cittadinanza. Ma, a seguito delle dovute pressioni e soprattutto grazie alla protesta manifestata dal personale e dalle proprie rappresentanze, si è riusciti ad ottenere il ripristino delle somme relative al 2015 e l'impegno alla modifica alla legge di stabilità per il 2016 che prevede una riduzione delle risorse del 10% dell'anno precedente. Resteremo vigili affinché il provvedimento per la restituzione di quanto sottratto ingiustamente ai lavoratori si formalizzi e si concretizzi. Inoltre, a seguito di una recente sentenza c.d. "Dirpubblica", sarebbe alquanto probabile che per la distribuzione delle risorse di cui sopra, o di parte di esse, si intenderebbe ricorrere ad un sistema di valutazione, il cui meccanismo dà per scontato, ancor prima della sua applicazione, che una percentuale di dipendenti sia comunque esclusa dal godimento della retribuzione correlata alla produttività, in quanto giudicati non adeguati alle esigenze della cittadinanza e pertanto "fannulloni e assenteisti" e che mira a smantellare e a privatizzare il servizio della Pubblica Amministrazione. Va precisato che noi non abbiamo alcuna paura di essere valutati, perché siamo sicuri della nostra qualità e del nostro servizio, ma non possiamo accettare l'imposizione di un sistema di cui si conosco già le finalità, che ci vuole umiliare ancora una volta ledendo la nostra dignità. Noi riteniamo che il sistema di valutazione - qualora fosse necessario – debba essere improntato a dei criteri di assoluta imparzialità e possedere dei requisiti fondamentali che sono: equità, trasparenza, oggettività e verificabilità. Ma questo è un risultato conseguibile esclusivamente attraverso il confronto con chi del lavoro pubblico conosce pienamente essenza e significato e cioè i lavoratori e le parti sociali che li rappresentano. Queste pseudo riforme, sono compiute in modo del tutto coattivo ed irresponsabile e sono da condannare sia moralmente che nel merito. L'obiettivo, alla luce di quanto sopra esposto, sembrerebbe chiaro: tentare di cancellare il servizio pubblico e il dipendente pubblico, utilizzando non solo provvedimenti di riduzione delle risorse essenziali ma anche atti che andrebbero a diminuire le garanzie contrattuali giuridiche, come ad esempio la modifica delle tutele dell'articolo 18, la limitazione dell'uso dello sciopero, l'eliminazione della causa di servizio, il blocco del turnover e la riduzione delle libertà sindacali dedicate alla tutela del personale. Attualmente, per modificare il pubblico impiego è utilizzato esclusivamente il dispositivo dei decreti evitando così il contraddittorio, qualificando quest’ultimo come uno strumento che blocca le riforme e pertanto il progresso del Paese. Tutti noi invece sappiamo che per riformare una buona Pubblica Amministrazione è necessario un confronto democratico, ma questa metodologia viene ripetutamente snobbata in quanto renderebbe troppo facile dimostrare che le misure fino ad oggi apportate si reggono sul nulla, non apportano alcun risparmio e sicuramente non porteranno alla rinascita del servizio pubblico. Ormai questa compagine governativa è spinta dalla smania del risparmio – falso ma mediaticamente efficace - e non dalla razionalità, tanto è vero che ha posto in essere degli interventi che potenzialmente potrebbero favorire il dilagare dell'illegalità. Infatti, negli ultimi anni, sono stati soppressi alcuni uffici pubblici da alcuni territori, come le Ragionerie Territoriali dello Stato che verificavano i bilanci degli enti pubblici, le agenzie delle entrate che controllavano l'evasione fiscale, le prefetture ed i comandi dei vigili del fuoco che costituivano un presidio per la sicurezza e la protezione del cittadino ed i tribunali che sono i garanti della legge. Inoltre, si sta provvedendo ad accorpare in un’unica struttura gli istituti del Ministero del Lavoro, dell’Inail e l’Inps con il rischio di creare confusione in alcuni servizi essenziali, che oggi si occupano di combattere il lavoro nero e garantiscono la vigilanza sulla sicurezza nei posti di lavoro pubblici e privati. Ogni anno, l'autorità politica, proclama sforbiciate sugli sprechi della pubblica amministrazione ma, secondo il nostro parere, basterebbe guardare il deficit dello Stato per comprendere che i costi che gravano sul cittadinanza non sono diminuiti. Ma se la spesa pubblica non si è ridotta mentre la consistenza dei capitoli delle amministrazioni pubbliche centrali è stata tagliata in modo ingente, la domanda da porre è la seguente: dove sono state dirottate le risorse? La risposta che piacerebbe sentirsi dare è che le somme sottratte sono state, e saranno, destinate per sanare il debito pubblico. Invece il nostro timore è che potremmo sentirci rispondere che le stesse sono servite e serviranno per finanziare le consulenze esterne e gli appalti per l'erogazione dei servizi. Quest'ultimi, in particolar modo, sembrerebbero gli unici ad aver mantenuto negli anni una congruità inversamente proporzionale, in quanto all'aumento del costo del bando di gara è corrisposta la diminuzione della qualità del servizio. Se tutto questo dovesse corrispondere al vero, potremmo a questo punto sostenere che i tagli effettuati sono stati finalizzati a colpire, quasi in modo esclusivo, l'erogazione dei servizi alla cittadinanza sul territorio e non gli sprechi e che, pertanto, il cittadino per godere di un servizio che dovrebbe essere garantito e dovuto gratuitamente dallo Stato, dovrà pagare di tasca propria. Altri Paesi che hanno sperimentato la privatizzazione del servizio pubblico hanno cambiato la propria scelta ritornando al passato, ed hanno investito sempre più risorse nella Pubblica Amministrazione. Se il governo avesse coraggio, potrebbe convocarci e noi saremmo ben lieti di accettare l’invito ed in grado di indicare dove potrebbero annidarsi gli sprechi e gli sperperi nonché quali sarebbero gli investimenti e le riforme corrette da fare per rilanciare la Pubblica Amministrazione. Vogliamo anche ricordare che uno Stato che si allontana dal territorio e un Paese che non garantisce l'accesso ai servizi in egual misura a tutta la cittadinanza, investendo nel servizio pubblico e, in particolar modo, nella sanità, nell'istruzione, nella ricerca e nella sicurezza, che costituiscono i servizi essenziali, ma che invece intende rendere gli stessi accessibili esclusivamente a coloro che potranno economicamente sostenerne il costo, non può essere definito democratico, libero e moderno. Queste anomalie sembrano essere note esclusivamente all'interno della Pubblica Amministrazione e non si riescono mai a porre a conoscenza della cittadinanza, anche perché chi lo dovrebbe fare, sembrerebbe sostenuto economicamente dal nostro stesso datore di lavoro e pertanto potrebbe non avere alcun interesse a farlo. Il pubblico dipendente viene menzionato dai maggiori mezzi di informazione esclusivamente per fatti di cronaca giustamente perseguibili, ma che non appartengono a tutto il mondo del pubblico impiego e da cui, come onesti dipendenti, prendiamo le distanze, denunciando la gravità di chi viola la legge e mortifica in questo modo la dignità e l'immagine del corretto lavoratore pubblico che, indignato dell'accaduto, non intende assolutamente essere paragonato ed accostato a tali individui. I dipendenti che commettono atti di rilevanza penale devono essere allontanati e, se condannati dalla magistratura, pagare per il reato commesso ricordando anche che gran parte del personale compie regolarmente il proprio dovere e svolge con diligenza il proprio servizio per la cittadinanza. Ed a proposito di questo, bisogna precisare che, dai dati pubblicati ed ufficiali di Funzione Pubblica - il maggior nemico del dipendente e del servizio pubblico - emerge che su 3,2 milioni di dipendenti esistono solamente 4 mila provvedimenti disciplinari e penali pendenti nell'intero settore pubblico. Pertanto, potremmo sostenere che siamo in mano a dei soggetti che ci vorrebbero sottomettere usando come strumento di coercizione il taglio delle risorse, una campagna mediatica di denigrazione e umiliazione, l'applicazione di decreti e sistemi di valutazione che mirano a svilire il ruolo del dipendente ed a smantellare il servizio pubblico. Si tratta di un atteggiamento che viene esercitato in modo sistematico ad ogni richiesta o protesta legittima da parte dei lavoratori. Noi dipendenti pubblici non ci stiamo, sono passati più di 2100 giorni dall'ultimo rinnovo contrattuale nel pubblico impiego mentre il Governo, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito l'irregolarità del blocco economico, continua a violare le norme della Costituzione non applicando il provvedimento giurisdizionale emesso. Potremmo definire pertanto questo Esecutivo come il peggiore dei datori di lavoro ed il peggior custode dei diritti fondamentali ed inviolabili dello Stato Italiano, quando invece ne dovrebbe essere il primo garante. Un importo di 8 euro lordi mensili di aumento non può essere preso in alcuna considerazione e, per il solo fatto di averlo proposto e pensato, i rappresentanti di questo Governo meriterebbero una querela per diffamazione, non solo perché il quantum non corrisponde al giusto adeguamento economico per l'inflazione subìta negli ultimi 5 anni, ma perché lo stesso è un insulto alla dignità ed al lavoro svolto con professionalità e diligenza dal lavoratore pubblico. Per questi motivi è stata indetta unitariamente dalle Organizzazioni Sindacali confederali del pubblico impiego, la manifestazione del 28 novembre p.v., che ha due principali obiettivi: • Il primo è quello di denunciare pubblicamente, vista la mancanza di spazio mediatico, il danno economico che si continua a perpetrare a danno del pubblico dipendente, contrariamente a quanto propagandato; • Il secondo è far trasparire alla cittadinanza che le nuove riforme della Pubblica Amministrazione, che sono decantante come rivoluzionare e innovative, con molta probabilità porteranno ad un peggioramento del servizio erogato sul territorio e nessun risparmio di spesa. Dobbiamo anche avere la consapevolezza che le organizzazioni sindacali, senza supporto, possono fare ben poco, ma se avvertono attorno a loro la spinta, il calore e la compattezza di tutti i lavoratori, nulla diventa impossibile. Concludiamo con una citazione di "Giovanni Falcone": "Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare". E' arrivato il momento di fare, abbiamo un doppio compito come lavoratori della Pubblica Amministrazione, difendere con orgoglio e dignità i nostri diritti e tutelare il servizio pubblico per la cittadinanza.

Siamo orgogliosi di essere dipendenti pubblici al servizio del cittadino.

ROMA 25/11/2015                                                                                                                    IL SEGRETARIO NAZIONALE

                                                                                                                                                      Andrea Giuseppe BORDINI